El final

Dopo il 21 aprile, lunedì di Pasquetta, il mondo è più triste e il suo popolo più solo.

Se ne va il quarto papa savonese della storia.

Dopo Sisto IV e Giulio II (savonesi per nascita) e Pio VII (savonese suo malgrado), muore Francesco (savonese per ascendenza).

Questi giorni sono stati carichi di emozioni ma anche ricchi di parole povere di significato. Il pontificato di papa Bergoglio è stato divisivo a detta di opinionisti del mainstream eppure confortante a detta del popolo di fedeli e non. Certamente dirompente per modalità e argomenti sollevati.

E’ fin troppo evidente che quando muore una personalità forte e irreversibilmente rivoluzionaria, la semplificazione prevale sulla semplicità. La semplicità richiede anime sensibili e pronte all’accoglienza mentre la semplificazione fa proseliti tra gli scettici, i complottisti e gli ignoranti che sono una minoranza rumorosa in ogni paese democratico moderno.

Papa Francesco in soli tredici anni ha giocato d’azzardo, ha gettato sul tavolo carte scottanti; lo ha fatto dovendo guardarsi le spalle, cercando le sfumature lessicali diplomaticamente idonee ma lo ha fatto sempre comunicando diretto e schietto.

Ha rimesso al centro la fede completando il lavoro di Papa Ratzinger; ha portato in Vaticano l’equilibrio uomo/ambiente, un tema laico così caro a San Francesco d’Assisi; ha dialogato con il Patriarca di Mosca e con il capo ortodosso di Kiev, con imam musulmani e rabbini; ha promosso la pace senza mezze misure; ha messo in evidenza che la diversità è una ricchezza e non un limite; ha aiutato economicamente famiglie in difficoltà; ha ascoltato i bambini, gli anziani, i malati, i carcerati, i poveri.

Altri papi – per molto meno – sono stati fatti santi e beati.

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